Capitolo 8º

Capitolo 8°





Anche questo viaggio fu molto interessante; dopo lo Stato del Ceará attraversammo lo Stato di Paraíba, poi il Pernambuco, quindi lo Stato di Bahia, il Minas Gerais, lo Stato di Rio de Janeiro, di San Paolo, del Paraná ed infine arrivammo nello Stato di Santa Catarina, la cui capitale é Florianopolis. Dopo tre giorni e quattro notti di viaggio di pulman arrivai a Florianopoli, stanco e con il cuore ancora a Fortaleza. I catarinensi (cittadini dello stato di Santa Catarina) usano chiamare la loro capitale Floripa. Floripa non é una grande cittá; ha una popolazione di circa 370.000 abitanti ed é situata su di un’isola. Un lungo e bellissimo ponte unisce la cittá alla terraferma; a dire il vero i ponti sono due, paralleli e totalmente indipendenti, uno attiguo all’altro, uno per ogni senso di marcia; su ogni ponte ci sono quattro corsie di marcia e al di sotto di una corsia esterna di un ponte, c’é una lunga e panoramicissima corsia pedonale che permette di raggiungere l’isola anche a piedi; moltissime volte ho attraversato il ponte, tramite quella pista pedonale. L’impatto psicologico immediato che si ha, arrivando a Florianopolis da Fortaleza, é come se dal Brasile si arrivasse in Italia. La differenza paesaggistica, viaria, architettonica, culturale, climatica e sociale é enorme; sono due mondi diversi; sono due realtá diverse. In Santa Catarina il clima é come il sud dell’Italia; d’inverno non nevica, ma fa molto freddo, con la differenza che le stagioni sono opposte all’Italia e le case e gli appartamenti non dispongono di impianti di riscaldamento. Stufe e stufette di tutti i tipi alleviano il pungente freddo dei mesi di luglio ed agosto. Le strade sono veramente belle, larghe e ben manutenzionate; i semafori sono esattamente del tipo da formula uno (prima che arrivi il verde si spengono gradualmente i rossi che sono sopra) e negli incroci, dove si puó creare qualche raro congestionamento di traffico, vi sono delle tabelle con la scritta “quem dá smola não dá futuro” (chi dà l’elemosina, non dà futuro), per cui non si incontrano mai mendicanti ai semafori. I mezzi pubblici sono quasi tutti nuovi e dotati di aria condizionata, che spesso viene accesa anche quando non serve. Per una migliore comprensione é bene dire che questa parte del Brasile é abitata prevalentemente da emigranti di origine italiana e tedesca; ci sono anche tracce di popolazione ucraina. Le tradizioni e le culture di questi emigranti si sono fuse e con il tempo, sono riusciti ad emergere ed a differenziarsi da quella che é la cultura brasiliana, per cui in quella regione prevale un buon senso civico; la criminalitá é molto bassa e la polizia, oltre ad essere numerosa, é anche efficiente. Florianopolis, pur essendo un’isola, non dispone di grandi spiagge belle e calde come nel Nordest. I catarinensi sostengono che nella loro isola ci sono circa cento spiagge; di fatto ce ne sono solo tre o quattro (praia di Campeche, praia de Joaquina, praia dos Ingleses e praia di Jurerê) che comunque sono frequentabili per soli tre o quattro mesi l’anno; durante l’estate. Tutte le altre spiaggette che circondano l’Isola, sono talmente piccole che spesso non c’é lo spazio nemmeno per sistemare un solo tavolo con l’ombrellone. É opinione comune in Brasile, che le donne piú belle stiano a Santa Catarina o nello stato del Rio Grande do Sul (confinante con Santa Catarina); per quel che ho potuto osservare devo confermare questa opinione. A Florianoplois le ragazze sono, per la maggior parte, belle; sono prevalentemente alte, bionde, con dei seni bellissimi e con i sederi all’insú. Tutte sono ben proporzionate e tutte hanno una esagerata cura del proprio corpo, per cui le trovi a fare ginnastica in tutti i luoghi, nelle palestre, nei giardini pubblici (quasi tutti sono adeguatamente attrezzati), nel lungomare, nelle spiagge, nelle piscine. Per le catarinensi il corpo é tutto. Tuttavia, a differenza delle nordestine, le ragazze catarinensi si autovalorizzano esageratamente, tanto che scivolano facilmente nell’arroganza e nella superbia, oltre che nella stupiditá. Da quel che ho potuto constatare ed ascoltare da amici, si puó affermare che le ragazze catarinensi si conquistano prevalentemente con i soldi e con l’aspetto fisico; ogni altro valore non viene assolutamente considerato. Inoltre l'esagerata diffidenza e la menzogna ampiamente diffuse tra questa gente, li rende un po’ sgradevoli ai brasiliani del nord e del nordest, oltre che agli europei. La qualitá della cultura scolastica non si differenzia molto dal resto del Brasile, anche se l’indice di analfabetismo é quasi inesistente. L’economia é quasi tutta imperniata sull’industria agroalimentare; infatti da queste parti ci sono grandissimi allevamenti di bovini, suini ed avicoli. Alcune delle piú grandi industrie alimentari brasiliane sono installate nel sud del Brasile. Durante i dieci mesi di mia permanenza in quella cittá, ho avuto modo di visitare anche altri centri minori dell’interno e, con un po’ di stupore, ho scoperto che nel sud del Brasile esistono varie piccole cittá che hanno gli stessi nomi delle cittá di origine delle popolazioni ivi emigrate; per cui esiste Nuova Trento, Nuova Venezia (peró sta in collina), Nuova Belluno ecc ...ecc.... Io ho visitato Nuova Trento. Lo stesso fenomeno si é verificato con gli emigranti tedeschi per cui, a Santa Catarina esiste anche Blumenal, Nuovo Amburgo ed altre cittá simili. Come avviene a Blumenal in Germania, anche qui si festeggia l’Oktoberfest. Questa manifestazione é molto simile a quella tedesca e viene celebrata contemporaneamente ad essa, in ottobre. Andai anch’io ad assistere a questa grande festa e giungendo a Blumenal, mi sembrava quasi di entrare in una qualsiasi cittá tedesca. Tutta la cittá é simile alle cittá germaniche; é simile nell’architettura civile, le case sono tutte con i tetti molto spioventi ed i balconi tutti grondanti di fiori; le strade sono tutte belle, pulite, ornate di fiori e di piante; la gente é gentile, ma fredda e staccata. Durante l’Ocktoberfest la birra scorre a fiumi e le orchestrine, con costumi rigorosamente bavaresi, suonano brani tedeschi o tedesco-brasiliani. Francamente, se non fosse stato per la lingua che ascoltavo o per le scritte pubbliche, mi sembrava di stare in Germania. L’economia prevalente in Santa Catarina, oltre all’agricoltura ed alla zootecnia, deriva anche dai notevoli fondi che arrivano dall’Italia. Ho casualmente scoperto, infatti, che a Florianopolis arrivano tantissimi soldi dall’Italia, piú esattamente dal Trentino Alto Adige. Praticamente in quella cittá é stato creato un bel metodo per ottenere soldi dal Trentino di cui una parte poi, ritorna nelle mani di alcuni altoatesini che vanno in quella cittá ad “incassare”. Sinteticamente cercheró di spiegare come funzionava (ed ancora probabilmente funziona) il giochino. Tra le leggi esistenti nella ricca provincia autonoma di Trento, esiste anche una norma che prevede aiuti finanziari ai trentini emigrati all’estero. Tale norma, che merita di essere sottolineata per il suo spirito umanitario e patriottistico, prevede che qualsiasi trentino residente all’estero e che sia aggregato in comunitá istituzionalmente riconosciute dalla provincia di Trento, potrá fruire di aiuti finanziari per molteplici motivi (per tornare in Italia e reinserirsi nel mondo del lavoro, o ricevere finanziamenti per attivitá agroalimentari installate in Brasile, o inviare i figli in qualche universitá trentina, o per aprire nuove attivitá artigianali in Brasile, o per studi e ricerche fatte sul Trentino ma diffuse in Brasile, o per diffondere attraverso riviste locali le tradizioni trentine, ecc.... ecc....). Per cui in Brasile esistono varie associazioni trentine; le piú diffuse sono: “Trentini nel mondo” e “Famiglia trentina”. Queste associazioni, che sono state create esattamente come prevedeva la norma della provincia autonoma altoatesina, sono istituzionalmente riconosciute dalla provincia stessa. Ed é a queste associazioni che pervengono i considerevoli fondi stanziati dalla Provincia di Trento. Io ho avuto modo di frequentare occasionalmente la “Famiglia trentina” di Florianopolis e, tramite essa, sono venuto a conoscenza di questa organizzazione che genera un’ampia ricchezza per poche persone. Ossia, da Trento arrivano le telefonate a Florianopolis per comunicare quando devono richiedere i finanziamenti e quali sono i “progetti” che devono presentare. Una volta preparate le pezze d’appoggio per la richiesta, viene inoltrato tutto alla provincia di Trento, la quale, avendo giá i fondi stanziati, senza fare alcuna verifica sul “progetto” ricevuto, invia immediatamente i soldi. Qualche mese dopo arriva in Brasile il presidente trentino, a cui fanno capo queste associazioni nel Brasile, e stabilisce la “divisione dei pani e dei pesci”. Per dare maggiore credibilitá a tutta l’operazione, il presidente trentino si fa accompagnare da qualche amico giornalista italiano, molto ben retribuito che, dopo aver fatto alcune ridicole foto di ridicoli cerimoniali, e dopo aver fotografato qualche fazenda (il cui ignaro proprietario non ha niente a che vedere con il Trentino e con l’Italia, e nemmeno sa il motivo per cui stanno fotografando la sua fazenda) ritorna in Italia e “dimostra” che i soldi dei contribuenti italiani, destinati agli “aiuti” in Brasile, sono andati a buon fine. Ossia, con quei soldi sono stati aiutati tanti poveri trentini residenti in Brasile ed é stata anche creata una vastissima fazenda di migliaia di ettari. Tutte menzogne. Tutte balle. Per le voci che circolano a Florianopolis, quei soldi vanno una parte in tasca al Vice Console italiano onorario che, oltre a ricoprire tale incarico da oltre 25 anni, é proprietario di tre famosi ristoranti e di una azienda di prodotti surgelati ed attualmente si gode la vita, vivendo con la terza moglie che ha la stessa etá della sua figlia primogenita (29 anni). Un’altra parte va ad un signore che é segretario dell’associazione “Famiglia trentina”; é un intrallazzatore nonché uno scaltro millantatore e la cui moglie lavora al Vice Consolato d’Italia. Un’altra quota va ad un giovanotto, che é socio ed amico del segretario di cui sopra e la cui principale attivitá é quella di fare da spola Trento-Florianopolis, per motivi ben immaginabili. Un’ultima parte ritorna in Italia nelle tasche del presidente italiano delle associazioni trentine nel mondo il quale, per non mostrare apertamente le sue disponibilitá economiche a Trento, compra e possiede appartamenti a Miami, in Florida (questo é ció che mi raccontó il giornalista che stava al seguito del presidente). Considerato che queste associazioni brasiliane “umanitarie” non sono soggette alla presentazione di bilanci e tanto meno a controlli contabili, si puó immaginare quanto sia facile diventare ricchissimi in Brasile con i soldi dei contribuenti italiani. E pensare che in Italia ci sono oltre due milioni di pensionati che devono sopravvivere con meno di 500 Euro al mese e probabilmente, qualcuno di loro stará anche in Trentino!!!
Comunque, al di lá dell’arte di arrangiarsi di cui sopra, bisogna sottolineare che la cittá di Florianopolis merita di essere segnalata per la buona qualitá di vita che offre ai propri abitanti, nonché per il basso costo della stessa rapportato alla qualitá dei servizi offerti. Se non fosse stato per il clima, che é freddo e ventoso per circa sei mesi l’anno, e se non fosse stato per la freddezza e la diffidenza delle catarinensi, avrei scelto di vivere indeterminatamente in quella cittá.
Da quando ho iniziato a vivere da separato (nel 1993), mi sono imposto, per proteggermi meglio da “brutte sorprese” e per correggere eventuali cattive abitudini alimentari, di sottopormi almeno una volta l’anno alle analisi del sangue e delle urine. Purtroppo a Fortaleza avevo lasciato passare piú di un anno senza effettuare nessuna analisi clinica; per cui, dopo il mio arrivo a Florianopolis e dopo che mi ero sistemato nella nuova residenza, decisi che al piú presto mi sarei procurato un medico per effettuare un completo controllo sul mio stato di salute. Purtroppo, quando ci si trasferisce in nuove cittá, prima che ci si ambienti e che la vita si normalizzi, passano mesi, a volte anche qualche anno; fu ció che successe anche a me. Dopo quasi un anno che ero arrivato in quella cittá e dopo aver chiesto informazioni in giro, scoprii, con mia grande meraviglia, che esisteva il SUS “Sistema Unico de Saude” (l’equivalente della ASL italiana) che era totalmente gratuito e, cosa molto importante, offriva assistenza sanitaria anche ai non brasiliani; era sufficiente possedere il CPF (Codigo de Pessõa Fisica), l’equivalente del Codice Fiscale italiano. Poiché io ero giá possessore di tale CPF, pur essendo un clandestino (non avevo il visto permanente per restare in Brasile), mi recai presso il SUS piú vicino alla mia abitazione e immediatamente mi fu rilasciato un tesserino sanitario. Contemporaneamente prenotai la visita medica, che avvenne il giorno seguente. Mi furono prescritte le analisi, anch’esse totalmente gratuite, che feci presso un laboratorio indicatomi dallo stesso SUS. Dopo aver ritirato gli esiti degli esami biologici, ritornai dallo stesso medico il quale, dopo aver letto i risultati delle analisi e dopo avermi avvertito di alcuni valori anormali in esse contenute, mi consiglió di procurarmi un urologo privato. Ció feci con urgenza. Purtroppo dalla visita dell’urologo emersero seri sospetti che ero affetto da un brutto male.
Quella diagnosi mi lasció quasi stordito. É inutile nascondere cosa provai ascoltando le parole dell’urologo. Fu come se all’improvviso fosse andata via la luce ... per sempre. Avvertii di colpo tutta la mia solitudine. Poi per un istante, presi coscienza che era solo un sospetto; mi rincuorai un po’. Il medico mi prescrisse di sottopormi ad una biopsia prostatica, la quale avrebbe potuto confermare o meno la sua ipotesi. Tra la prenotazione di detto esame bioptico, il prelievo ed il risultato, passó circa un mese. Fu il mese piú lungo della mia vita. Mi sembró un’eternitá.
Purtroppo l’esito dell’esame bioptico dette esito positivo. Avevo un tumore alla prostata. Il sole si era spento per sempre. Ulteriori esami specifici stabilirono che esso era di aggressivitá medio-alta. Mi spiegarono anche che avevo buone opportunitá di combatterlo e di sconfiggerlo. Non dovevo demoralizzarmi. Ora dovevo decidere, in breve tempo, cosa fare; se tornare in Italia per sottopormi alle opportune terapie o se restare in Brasile e tentare ti curarmi in loco. Prima di prendere qualsiasi decisione consultai altri tre oncologi; ognuno, pur confermando la prognosi tumorale, mi dette dei consigli terapeutici diversi; ad ognuno di essi chiesi quali erano o potevano essere le cause che generano il cancro alla prostata e tutti concordarono nel dirmi che ancora la medicina non era in grado di stabilirne esattamente l’origine. Tuttavia, dai colloqui avuti, dedussi e mi convinsi che comunque avrei dovuto lasciare Florianopolis perché, per il tipo di terapia alla quale era consigliabile sottopormi (radioterapia conformazionale), in quella cittá non esisteva un centro oncologico attrezzato. Le cittá brasiliane che disponevano di tale centro specializzato erano: San Paolo, Rio de Janeiro, Salvador, Porto Alegre e Curitiba. Da ulteriori informazioni acquisite, il quadro che ne uscí era che il servizio sanitario pubblico brasiliano era simile a quello italiano, ma non uguale; per i ricoveri ospedalieri, per qualsiasi terapia e per gli interventi chirurgici deve pagare tutto il paziente o, se si dispone di una polizza assicurativa (chiamata plano de saude), paga tutto l’assicurazione. Nel mio caso, che non disponevo di nessuna polizza, dovevo pagare tutto io. Per tali terapie avrei dovuto pagare circa cinquemila dollari. Questa notizia contribuí notevolmente ad aggravare il mio stato psicologico, oltre alla mia non rosea situazione finanziaria. Dopo alcune riflessioni, feci un sommario ed obiettivo bilancio della mia momentanea realtá; avevo 55 anni; ero affetto da un tumore; vivevo da solo; dovevo pagarmi tutte le cure ed i relativi medici; ero un clandestino in Brasile. Di fronte ad un bilancio del genere avvertii che la pazzia era a due passi da me; tuttavia, poiché ritenevo che non ero ancora diventato pazzo, dovevo trovare una soluzione ... ma come? Quale? Le scelte che potevo fare erano due: o tornare in Italia ed affidarmi alle gratuite ed avanzate cure del sistema sanitario italiano, o restare in Brasile ed affidarmi alle costose ed incerte cure del sistema sanitario brasiliano.
Per due giorni e due notti non feci altro che pensare a questo dilemma. Alla fine decisi. E decisi di restare in Brasile. Tra le varie riflessioni che mi spinsero a restare in sud America, ce ne furono un paio che prevalsero maggiormente; la prima era che normalmente, quando si é malati di tumore, si aspetta la morte che arriverá entro breve tempo per cui, tra il morire in Italia ed il morire in Brasile, preferivo morire in Brasile e lasciare che i familiari e gli amici mi ricordassero tutti come ero quando li avevo lasciati e che stavo in ottima salute. La seconda riflessione scaturiva direttamente dal mio carattere ossia, alcuni anni addietro avevo scelto di vivere in Brasile, chiudendo tutti i contatti con l’Italia (ad eccezione dei miei due figli). Avevo strappato il biglietto aereo. Per coerenza questa scelta doveva essere tale in tutti sensi, sia per le cose buone che per le cose cattive per cui, trovandomi ora in una situazione di grossa difficoltá, non potevo rinnegare la mia scelta del passato e tornare in Italia ad “elemosinare” assistenza medica e sociale. Ho sempre ritenuto che quando nella vita si fanno delle libere scelte, esse devono essere sempre rispettate coerentemente, sia nel bene che nel male, altrimenti non sono piú libere scelte, ma solo circostanze di convenienza. Decisi pertanto di restare in Brasile, anche se i miei figli mi invitarono caldamente a tornare in Italia.
Ora dovevo decidere in quale cittá trasferirmi per iniziare le cure del caso. Feci le mie valutazioni sulle cittá che disponevano dei centri oncologici adeguati e scelsi di trasferirmi a Salvador (Bahia). Anche per questo trasferimento decisi che sarei andato via in silenzio e senza avvertire nessuno dei miei amici e conoscenti catarinensi. Mi furono sufficienti quindici giorni per sistemare tutte le mie cose e per organizzare la partenza. Questa volta mi sarei trasferito con la mia Renault Clio che avevo comprato alcuni mesi prima a Florianopolis; per cui ritenevo che il viaggio, di circa tremila chilometri (esattamente 2.900 km), sarebbe stato un po' avventuroso, soprattutto considerando che la Clio, essendo del 1997, aveva giá sette anni di vita, quindi l’affidabilitá meccanica diventava insufficiente. Dopo aver caricato nella mia auto tutto ció che potevo trasportare (libri, abbigliamento, computer, utensilerie, ricordi) e dopo aver fatto un programma di viaggio, il venerdí pomeriggio del 4 marzo 2004 partii alla volta di Salvador.
Nel primo tratto del viaggio, dopo aver lasciato lo Stato di Santa Catarina, attraversai lo Stato del Paraná (Curitiba) e giunsi in quello di São Paolo. Arrivai nella capitale (São Paolo) dopo aver percorso circa 800 km. Era l’una di notte ed ero stanco. Decisi di pernottare in un albergo di quella enorme metropoli. Il giorno seguente ripresi il viaggio dirigendomi alla volta di Rio de Janeiro; non fu una cosa facile attraversare la grande São Paolo per imboccare la statale per Rio, ma un po’ per intuito ed un po’ chiedendo informazioni, riuscii ad immettermi in quella tortuosa autostrada, dal nome “Doutra”. Il viaggio São Paolo-Rio fu abbastanza tranquillo anche perché, l’autostrada che collega le due cittá, pur essendo trafficatissima, non presenta grandi disagi di viabilitá. Giunsi a Rio de Janeiro all’ora di pranzo, decisi che mi sarei fermato a mangiare dopo aver attraversato tutta la cittá; infatti, dopo che attraversai il famoso e bellissimo ponte di Niteroi (lungo 13 Km), decisi di fare una sosta ristoratrice per il pranzo. Ripresi il viaggio dirigendomi verso Vittoria, capitale dello Stato di Espirito Santo, e fu con grande sorpresa che scoprii che in questo piccolo Stato le strade erano quasi perfette. Arrivai a Vittoria, dopo aver percorso altri 900 km circa, la sera intorno alle 20,00 e mi sentivo molto stanco. Decisi di pernottare in un albergo fuori cittá, lungo la stessa strada (la BR 101) che mi avrebbe portato a Salvador. Dopo circa 20 km da Vittoria incontrai un buon albergo con annesso ristorante nel quale cenai e pernottai. La mattina seguente continuai il viaggio puntando dritto verso Salvador. Dopo aver percorso alcune centinaia di chilometri di ottima strada, lasciai lo Stato di Espirito Santo ed entrai nello Stato di Bahia. Il confine tra questi due stati era scritto in un precario pannello segnaletico che altro non era che una vecchia lamiera (credo che fosse un vecchio coperchio di un fornello a gas) su cui era scritto a mano che quello era il confine tra i due Stati. Comunque, se qualche distratto automobilista non avesse letto che lo Stato di Bahia iniziava da quel punto, lo avrebbe sicuramente dedotto dall’immediata differenza del fondo stradale. La diversitá della qualitá della strada tra i due stati era enorme, grandi e profonde buche erano in agguato ovunque; ogni chilometro che percorrevo mi rendevo conto della profonda differenza; non si riusciva ad andare oltre gli ottanta chilometri orari, perché le improvvise buche ed i tratti totalmente senza asfalto imponevano una guida da gimkana. Dopo qualche ora di tragitto in quella importantissima ma pessima strada interstatuale, capii che oltre a dover essere molto prudente, avrei dovuto modificare anche il mio piano di viaggio, poiché ero ormai certo che non sarei arrivato a Salvador in quello stesso giorno. Infatti, dopo alcune centinaia di chilometri e dopo che era calata la notte, decisi di pernottare in una pousada che incontrai lungo ilcammino, nella cittá di Gandú. Fui fortunato a scegliere quella pousada, perché nell’annesso ristorante nel quale cenai, chiesi ad un poliziotto quanto mancasse per arrivare a Salvador e lui mi consiglió di effettuare una deviazione dopo circa cento chilometri, per dirigermi sull’isola di Itaparica, da dove avrei preso un traghetto che in 20 minuti mi avrebbe portato al porto di Salvador, facendomi risparmiare oltre centocinquanta chilometri di strada. Fu esattamente ció che feci la mattina seguente. Infatti, giunto nella cittá di Santo Antonio di Jesú, deviai per Santa Cruz e dopo aver attraversato un lungo e malandato ponte, mi ritrovai sull’isola di Itaparica. Dopo circa mezz’ora di tragitto arrivai al molo per imbarcarmi sul traghetto che mi avrebbe condotto finalmente a Salvador de Bahia.