Capitolo 3º

 CAPITOLO 3º










Come accade in tutti gli ambienti di lavoro, esistono sempre delle liti interne che, molto spesso, sono riconducibili a pettegolezzi o attriti personali; ebbene anche nella scuola Fundação Torino di Belo Horizonte esistevano questi dissapori tra il personale. Per cercare di capire quali erano i motivi delle liti é indispensabile spiegare, per grosse linee, cosa era veramente questa scuola. In modo molto sintetico, ma altrettanto veritiero, il Direttore didattico della scuola elementare, in una riunione pubblica, che doveva essere un giorno di festa, disse al microfono, tra le altre cose, queste testuali parole ”...sono rammaricato nel constatare che questa struttura, che é un ORRORE, si continui ancora a chiamarla Scuola ...”. Io e gli altri miei colleghi eravamo arrivati da pochi giorni e la Scuola, insieme ai genitori, volle fare una specie di festa per darci il benvenuto; alcuni genitori ed insegnanti si avvicendarono al microfono per manifestarci la loro simpatia ma, quando fu la volta del direttore didattico, questi approfittó per esprimere le sue “nobili opinioni” su quella Scuola. Queste affermazioni, dette peraltro da un direttore didattico inviato dal Ministero della PubblicaIstruzione italiana di concerto con il Ministero degli Esteri, ci lasciarono a dir poco stupefatti; capimmo immediatamente che eravamo capitati in un ambiente “alla nitroglicerina”. Praticamente, essendo questa una scuola un po' diversa, si stava tentando di prenderne la gestione ed i relativi utili, ossia nella Fundação Torino c’erano, economicamente parlando, tre categorie di insegnanti: una categoria era formata dai “ministeriali”, inviati dallo Stato italiano, in regime di trasferta per dare riconoscimento legale alla scuola stessa (stipendiomensile netto di circa 5.700 dollari Usa, pagato dallo Stato italiano); un’altra categoria erano gli insegnanti selezionati ed assunti in Italia dalla Fiat, ma con contratto brasiliano regolato da leggi brasiliane (stipendio mensile netto di circa 1.100 dollari Usa pagato dalla Fiat); poi c’erano gli insegnanti brasiliani (stipendio mensile netto di circa 350 dollari Usa, pagato dalla Fiat). I due insegnanti Ministeriali, che avevano l’incarico di Preside e di Direttore didattico, percepivano una ulteriore indennitá mensile di circa 500 dollari Usa. Il Console d’Italia a Belo Horizonte aveva anche l’incarico (e l’indennitá) di Provveditore agli Studi. La sintetica storia della Fundação Torino é la seguente. Essa fu voluta e creata dalla Fiat-auto per rispondere alle esigenze dei figli dei dirigenti italiani Fiat, inviati a lavorare nello stabilimento di Betim (Belo Horizonte). Con la creazione di questa scuola, i figli di detti dipendenti, potevano continuare a studiare come se fossero in Italia. Ottima l’idea; ottimo lo spirito; ed ottima anche la scuola. Dopo pochi anni peró, anche i dirigenti Fiat brasiliani pretesero di studiare nella scuola italiana e cosí pure i figli. Dopo attenta valutazione e dopo aver considerato tutti i possibili vantaggi che ne sarebbero derivati, la Fiat accolse queste richieste e trasformó la scuola italiana “Guglielmo Marconi” (cosí si chiamava originariamente) in una Fondazione, chiamandola “Fundação Torino”. Purtroppo, con l’ingresso dei brasiliani in questa scuola, cambió anche il metodo d’insegnamento, adattandosi al metodo brasiliano e producendo scarsissimi risultati formativi. Essendo questa scuola divenuta una Fondazione, quindi finalizzata ad opera di beneficenza, si collocava automaticamente nella categoria delle opere assistenziali e quindi Ente finanziabile in parte dallo Stato Italiano, in parte dal Fondo Monetario Internazionale ed in parte dal Governo Brasiliano. Il riconoscimento legale in Italia, dei diplomi acquisiti dagli alunni nella Fundação Torino, era garantito dalla presenza degli insegnanti ministeriali italiani (cinque insegnanti) “in trasferta”, richiesti ed ottenuti dalla Fiat.

Praticamente questo progetto di “ingegneria giuridico-politica” dette vita alla Fundação Torino in cui c’erano una scuola materna, una scuola elementare, una scuola media inferiore, un liceo scientifico e un liceo linguistico, oltre a vari corsi di lingua italiana.
Bisogna dire che inizialmente, i partecipanti a questi corsi erano decisamente pochi (a rigor di logica avrebbero dovuto essere solo i figli dei dirigenti italiani) invece, la realtá socio-scolastica brasiliana e la notoria intraprendenza del management della Fiat, fecero sí che in pochi anni, i partecipanti ai corsi raggiunsero il numero di circa 800 unitá.
Alla luce di quanto esposto emerge chiaramente che questo Ente é stato un successo, é cresciuto molto e rapidamente per cui, si chiederá il lettore, cosa c’entrano le liti di cui sopra? Perché quel direttore didattico definí questa scuola “un orrore”?
Deve sapere il lettore che in Brasile, la realtá scolastica é molto diversa da quella italiana. Per apprendere qualcosa bisogna andare nelle scuole non statali, quindi pagare e, tanto piú la scuola é “prestigiosa”, tanto piú essa é cara. La scuola della Fundação Torino era diventata la piú prestigiosa di Belo Horizonte, la migliore in assoluto (cosí dicevano i brasiliani); era diventata quindi anche la piú cara; infatti, per frequentare quella scuola si pagavano mediamente 300 dollari al mese, oltre ai costi del materiale scolastico e della refezione, che erano tutti a carico dell’alunno, ma venduti dalla scuola stessa. Un metalmeccanico brasiliano che lavorava alla Fiat percepiva circa 250 dollari al mese.
Si consideri infine che tutto il corpo docente era composto da trenta insegnanti, di cui cinque erano pagati dallo Stato Italiano; dei venticinque rimanenti, otto erano remunerati con stipendi brasiliani (350 dollari al mese), gli altri tredici insegnanti, tra cui lo scrivente, erano remunerati con 1.100 dollari al mese. C’é da aggiungere il personale ausiliario e di servizio, circa 20 dipendenti remunerati tutti con stipendi brasiliani (300 dollari al mese). Il responsabile unico dell’Ente veniva scelto insindacabilmente dal Direttore Generale della Fiat-Sudamerica; in quel periodo l’incarico di Responsabile Unico era stato affidato ad una ex preside di un Liceo Scientifico italiano che, messasi in pensione dalla Scuola Statale italiana, aveva ricevuto questo incarico dal Direttore Generale della Fiat-Sudamerica. Lo stipendio mensile di questa ex preside era “top-secret”, ma si vociferava che percepisse circa 9.000 dollari al mese, oltre alla pensione del Ministero della Pubblica Istruzione italiana.
Probabilmente ora il lettore avrá piú chiara la situazione, ossia questo Istituto (che era ed è una Fondazione), incassava mediamente 240.000 dollari al mese (800 alunni x 300 dollari), oltre ai contributi di 12 dollari pro-alunno ottenuti dal Governo brasiliano (questo é il contributo che lo stato brasiliano versa alle scuole private, per ogni alunno frequentante, ossia l’equivalente di quello che spende per chi va nelle scuole statali), piú vari contributi dal Governo italiano, la cui entitá era a noi sconosciuta (a dire il vero questo argomento era molto “riservato”).
Le spese mensili complessive sostenute dalla Fundação Torino, non raggiungevano i 50.000 dollari Usa. Per cui questo Ente, che doveva avere nobili fini assistenziali, produceva un utile netto mensile di circa 200.000 dollari, che tradotti in vecchie lire italiane facevano circa 400.000.000 di lire al mese. La dichiarazione pubblica fatta dal famoso direttore didattico, non solo non produsse cambi di gestione, ma generó ulteriori tensioni nell’ambiente, tanto che alcuni insegnanti, ritenendosi offesi da quella dichiarazione, decisero di fare una raccolta di firme e denunciare il sig. Sisto Santalmassi alle autoritá giudiziarie competenti. Non tutti apposero la loro firma in quella lista, nemmeno io. Tuttavia fu attivata la macchina giudiziaria e disciplinare; dopo pochi mesi il direttore didattico fu trasferito in altra sede, piú esattamente in Spagna, a Barcellona e sempre in regime di “trasferta”, quindi con lo stipendio di 5.700 dollari al mese. Tre insegnanti, tra cui lo scrivente, furono licenziati senza giusta causa. Gli altri due miei colleghi di sventura, dopo il primo momento di sconcerto, furono quasi contenti di essere stati licenziati. Io no. Non solo ero scontento, ma feci anche delle energiche proteste contro il licenziamento, che purtroppo non furono recepite da nessuno. Mi fu spiegato che le leggi brasiliane prevedevano questo tipo di provvedimento. La stessa cosa me la confermó anche il Console d’Italia a Belo Horizonte.
Dalla Fundação Torino ricevetti i soldi che mi spettavano (poche centinaia di dollari), la lettera di licenziamento che, oltre ad avere effetti immediati, mi avvertiva che avevo trenta giorni di tempo per lasciare l’appartamento ed il Brasile, ed un biglietto aereo di sola andata Belo Horizonte-Roma.

Ancora una volta mi resi conto quanto ognuno di noi sia inerme di fronte al proprio destino. Ancora una volta stavo vivendo una situazione che mai e poi mai avrei creduto di dover vivere. Sembrava quasi che stessi facendo un brutto sogno e, stando nel sonno, non potevo fare niente per cambiare le cose; dovevo solo aspettare che mi svegliassi. E purtroppo al risveglio la situazione nella quale mi trovavo era le seguente: avevo piú di cinquant’anni sulle spalle; avevo interrotto tutti i rapporti con l’Italia per trasferirmi a lavorare in Brasile; ero stato licenziato dal lavoro brasiliano senza nessuna mia colpa; disponevo di poche risorse economiche ed avevo un mese di tempo per andare via dal Brasile. Forse sarebbe stato meglio che non mi fossi mai svegliato! Tuttavia, pur nelle attuali avversitá, decisi di non arrendermi e di affrontare la realtá nel miglior modo possibile, con calma e con serenitá.
Per una settimana circa, non feci altro che riflettere sul da farsi e per una migliore valutazione, consideravo anche l’ipotesidi ritornare in Italia, probabilmente a Roma. Francamente, facendo i paragoni tra le due nazioni, mi era difficile cogliere aspetti positivi migliori di quelli che stavo vivendo o prevedevo di cogliere in Brasile (malgrado il mio attuale momento negativo). Nel ricordare l’Italia mi tornavano alla mente le lunghe file nel traffico caotico delle cittá, lo smog che rendeva l’aria irrespirabile, l’alto ed ingiustificato costo della vita, la impossibilitá di ritrovare un lavoro, il clima freddo e umido dell’inverno che mi procurava sempre il mal di gola ed a volte anche qualche febbre, le notevoli difficoltá del vivere quotidiano fatto di tantissimi divieti e di moltissimi pagamenti. Vivendo nella semplicitá del Brasile, dopo un po’ di mesi mi resi conto come in Italia, per ogni cosa che si vuol fare, occorrono sempre dei permessi, delle licenze, delle autorizzazioni, dei nulla osta e chi piú ne ha piú ne metta. Inoltre mi ritornavano davanti agli occhi le serate passate davanti alla televisione in cui, ascoltando i programmi di “attualitá”, trasmessi dai vari salotti televisivi, osservavo che i governanti o i politici (di tutti i partiti), anziché illustrare come poter risolvere i problemi che assillavano la societá italiana, o i programmi per migliorare la societá stessa, si preoccupavano solo di sfoggiare il loro forbito linguaggio fatto di parole vuote e senza alcun significato reale, oppure le loro camicie griffate con il collo all’inglese o le loro cravatte scelte dalle relative mogli o amanti, o ancora le loro chiome uscite fresche fresche da qualche acconciatore di grido del momento. Infine mi tornavano alla mente alcuni casi di cronaca giudiziaria, in cui i Palazzi di Giustizia erano trasformati in Palazzi di Mercato delle impunitá, e le assoluzioni, a seconda degli acquirenti, venivano vendute anche in “offerte speciali”, il cui ricavato andava a rimpinguare i giá rispettabili conti bancari di avvocati, magistrati ed inquirenti corrotti.Tutto questo passava davanti ai miei ricordi e sinceramente, percepivo che mi era molto difficile ricollocarmi in un tale contesto sociale, per cui si andava sempre piú rafforzando in me l’idea di non tornare piú in Italia. Meglio una nazione meno ricca e meno colta ma piú semplice, piú umana e piú vivibile come il Brasile, anziché una nazione piú ricca, piú moderna e piú colta ma anche eccessivamente burocratizzata, esageratamente cara ed altamente inquinata come l’Italia. Ed ancora, meglio un popolo poco ricco economicamente ma ricchissimo di umanitá e di voglia di vivere, anziché un popolo ricco e tecnologicamente avanzato, ma poverissimo di umanitá e spersonalizzato dalla continua corsa al consumismo ed alla ricchezza. Un solo elemento mi richiamava verso la terra natía: i miei due figli. Tuttavia, essendomi giá legalmente separato da dieci anni, mi ero ormai parzialmente abituato alla loro lontananza (e credo anche loro). Inoltre pensavo che forse in futuro poteva essere utile anche per loro avere un “recapito” in Brasile.
Certo, non é che il Brasile sia il paradiso terrestre, ma la semplicitá, l’ingenuitá e la voglia di vivere di questo popolo; il clima (in Brasile é sempre primavera-estate) e le opportunitá di sviluppo di questa nazione, la rendono interessante sotto molti punti di vista. Dopo aver considerato tutto ció, decisi che sarei rimasto in questa terra e, non avendo nessun requisito richiesto per regolarizzare istituzionalmente la mia permanenza, decisi che sarei rimasto clandestinamente. Arrivó il giorno di scadenza del biglietto aereo di solo andata Belo Horizonte-Roma. Lo presi, lo osservai molto bene e dopo una breve ma intensa riflessione, lo strappai e lo gettai nel cestino dei rifiuti. Fu il mio definitivo addio all’Italia ed in parte al mio passato. Fu anche l’inizio della mia clandestinitá. Ora dovevo stabilire come organizzare la mia permanenza e la mia vita.
Alcuni giorni dopo aver deciso di restare in questa terra, un pomeriggio, mentre ero seduto in un bar a sorseggiare una bibita, notai una signora che, fingendo indifferenza, mi stava osservando con un certo interesse. Era una signora intorno ai quarant’anni, magra, bionda, altezza normale, non molto bella ma dall’aspetto gradevole; passando vicino al mio tavolo lei mi guardó come se avesse voluto dirmi qualcosa, ma non parló. Fui io allora ad “attaccare bottone”. Dalla conversazione, che si svolse in un clima cordiale ed amichevole, emerse che questa signora, oltre ad essere una avvocatessa, era anche professoressa di diritto commerciale in una famosa universitá privata di Belo Horizonte, inoltre era separata e madre di due figli; alla fine ci scambiammo i telefoni con l’impegno che ci saremmo sentiti il giorno dopo; cosí avvenne e dopo una settimana ero giá ospite a casa sua. Rimasi ospitato in quella casa per circa 4 mesi; fu un tempo sufficiente per apprendere meglio la lingua e per organizzare con calma il mio futuro, ma fu anche un’occasione per capire meglio la mentalitá della societá e della famiglia brasiliana. Purtroppo, in quel breve periodo, mi resi conto anche della profonda differenza di costumi, di cultura e di morale tra me e quella famiglia. Ma soprattutto lo stato di alcoolismo in cui versava quella donna (cosa che scoprii in seguito) ed il suo basso profilo morale, crearono delle tensioni che presto generarono la nostra definitiva rottura. Fu una esperienza che, pur avendomi lasciato negativamente segnato, la considero comunque interessante. Quella “storia” terminó una sera in cui, dopo una lite con quella signora, raccattai le mie poche cose, gli effetti personali, qualche libro e, dopo aver chiamato un taxi, andai via senza sapere dove. Chiesi al tassista se conoscesse qualche albergo economico; mi rispose affermativamente ed io mi ci feci accompagnare. La “pousada” (pensione o albergo), che era molto modesta, era sulla Avenida Amazzonas, aveva un ingresso piccolo ed anonimo; il prezzo richiestomi fu di ottanta dollari al mese inclusa la prima colazione; il pagamento doveva essere anticipato; la stanza assegnatami aveva le dimensioni di due metri per due e cinquanta, compreso il bagno con la doccia. Dopo essermi fatto una doccia mi distesi sul letto, erano le 22,00, mi sentivo molto stanco; feci un rapido bilancio della situazione e percepii tutto il peso della drammaticitá che stavo vivendo. Ero un clandestino, avevo nel portafogli circa cento dollari e niente piú; non avevo nessuna fissa dimora e non sapevo veramente cosa fare. Fu con questi pensieri che fui assalito da un sonno profondo che non ricordavo da anni. La mattina seguente mi svegliai alle 14,00 circa, avevo dormito ininterrottamente per 16 ore, non credevo ai miei occhi, ma era cosí; e fu un sonno molto ristoratore, mi sentivo fisicamente bene ed avevo il morale alto. Riconsiderai con maggiore serenitá la mia situazione e ne dedussi che era decisamente negativa, ma non drammatica. Iniziai il nuovo giorno (o meglio il nuovo pomeriggio) camminando nelle vie del quartiere dove stavo alloggiato; ero curioso di conoscere e di osservare; passeggiai per ore in quel quartiere di Belo Horizonte e dovunque notavo pessime strade e quasi tutte senza marciapiedi; tutte erano sporche e piene di buchi; fetori maleodoranti uscivano dalle poche fogne esistenti. Le costruzioni, quasi tutte fatiscenti o costruite con scadente stile architettonico, erano tutte recintate con alte mura, con in cima conficcati pezzi di vetro o punte di ferro per evitare che fossero scavalcate da eventuali ladri. Intanto, mentre camminavo, sentivo una strana e piacevole sensazione. Sentivo forte il denso e fragrante profumo della libertá. Mentre camminavo, avvertivo una inconscia certezza che in qualche modo avrei superato quei momenti bui.
Arrivó la sera e con essa la fame, mi fermai in una pizzeria a cenare, spesi tre dollari. Intanto, tornandomene verso il mio alloggio, mi concentrai sulla possibile ed immediata soluzione del problema economico. Avevo previsto che mi sarebbe arrivato dall’Italia il mio modesto assegno pensionistico, non prima di tre o quattro mesi (erano giá quattro mesi che avevo fatto richiesta al Ministero di inviarmelo in Brasile), per cui dovevo trovare subito i soldi per sopravvivere almeno per quattro mesi e, considerando che avrei speso il minimo indispensabile, stabilii che avrei avuto bisogno di almeno ottocento dollari. Ma dove trovarli?
Il giorno seguente decisi di andare a fare visita a Padre Alberto il quale fu ben lieto di rivedermi; dopo alcune simpatiche battute ed un cordiale reciproco sfottimento, mi invitó ad entrare nel suo ufficio; quí il tono del colloquio diventó serio, infatti mi illustró una sua mezza idea di istituire un corso di lingua italiana nella sua comunitá. Praticamente, in modo molto garbato, mi stava chiedendo la mia disponibilitá. Era suo desiderio che i seminaristi (circa una ventina) studiassero la lingua italiana e lui, che era sempre oberato di impegni, non aveva il tempo necessario per farlo. Mi confidó anche che dopo la mia passata visita che feci loro qualche mese addietro, i seminaristi gli chiesero gentilmente di domandarmi se ero disponibile ad impartire loro alcune lezioni di italiano, ovviamente ... come volontario. Da quí la sua mezza idea di studiare insieme a me, qualora fossi stato disponibile, una soluzione che potesse conciliare i reciproci interessi. Lo ringraziai per la considerazione rivoltami e gli confermai la mia disponibilitá, previo dettagliati accordi reciproci.
Giunse l’ora di pranzo e fui invitato alla loro mensa; nell’occasione ebbi anche un cordiale colloquio con alcuni seminaristi, i quali erano molto entusiasti della fattibilitá della loro richiesta. Nel primo pomeriggio, poco prima di andare via, il Direttore della Comunitá (Padre Alberto), mi assicuró che tra qualche settimana mi avrebbe telefonato per definire insieme questo suo progetto didattico.
La distanza tra la sede della Comunitá Religiosa ed il mio attuale alloggio era di circa tre quarti d’ora a piedi, ed io, che ormai andavo sempre a piedi, principalmente per risparmiare i soldi del pulman e poi perché una buona camminata non poteva che giovare alla mia salute, mi incamminai per tornare verso “casa”. Alcuni giorni dopo, mentre percorrevo questi tragitti a piedi, mi tornava alla mente il mio periodo “aureo e folle”, ossia mi ricordavo di quando possedevo e guidavo le mie belle macchine in Italia. Avevo avuto due Porsche, una Jaguar, varie Mercedes oltre a molte medie cilindrate; tuttavia, nel ricordare queste cose, non provavo nessuna tristezza e tantomeno rimpianto, anzi mi veniva da ridere e sorridevo veramente mentre camminavo.
Purtroppo anche quel giorno stava passando, ed io non avevo ancora risolto il mio impellente problema economico. Passó una settimana e non era successo niente che potesse cambiare la mia attuale situazione. Ero arrivato ormai al limite della sopravvivenza; in tasca avevo un dollaro e tre reais (moneta brasiliana) e niente piú; cominciavo a sentire la paura della disperazione. La mattina seguente mi venne in mente di telefonare a Claudio, mio caro amico; questi, che insegnava lettere al Liceo Scientifico della Fundaçon Torino, era un buon uomo; proveniva dal Friuli ed era un “ministeriale”. Era arrivato a Belo Horizonte un anno prima di me. Giá al nostro primo incontro nella Scuola nacque una spontanea e sincera amicizia che si rafforzó ogni giorno di piú; di lui mi piaceva la sua profonda e maniacale cultura e la sua spartana semplicitá; era un uomo profondamente onesto; ero quasi certo che avrebbe capito il mio momentaneo “stato di bisogno” e quindi mi avrebbe aiutato. Gli telefonai spiegandogli la mia situazione e gli chiesi se poteva farmi un piccolo prestito. Fissammo un incontro per il giorno dopo e quando ci incontrammo, oltre ad essere molto felice nel rivedermi, fu anche molto disponibile nel darmi il suo aiuto; quanto ti serve? -mi chiese- ottocento dollari, risposi, -arrotondiamo a mille- mi disse, cosí stai piú tranquillo e subito mi fece un assegno equivalente in moneta locale. Lo ringraziai di vero cuore e lo rassicurai che, non appena avrei ricevuto la mia pensione dall’Italia, mi sarei immediatamente sdebitato. Tirai un sospiro di sollievo quel giorno e per festeggiare il momentaneo “salvataggio”, mi offrii un pranzo regolare. Spesi 5 dollari e 50 centesimi. Furono soldi molto ben spesi. Pianificai l’importo che avrei potuto spendere giornalmente e dalla previsione di bilancio, tolsi subito 22 dollari con i quali decisi di mettere un annuncio economico mensile sul giornale locale, per dare lezioni private di Italiano.

Dopo circa una decina di giorni, ricevetti la prima telefonata di una ragazza che mi chiedeva notizie per poter effettuare un corso di italiano; detti tutte le delucidazioni e fissammo un appuntamento per incontrarci. L’incontro ebbe successo tanto che, insieme a lei, portó altri due amici che studiavano all’Universitá Federale del Minas Gerais di Belo Horizonte (UFMG). Cominciai cosí a dare lezioni di lingua; le lezioni le davo in una sala della Comunitá Religiosa, gentilmente messami a disposizione da Padre Alberto. In quello stesso periodo “il Reverendo” mi telefonó e mi illustró il suo progetto per il mio insegnamento gratuito ai seminaristi; lo accettai quasi integralmente e cosí iniziai anche il corso di italiano riservato esclusivamente a quella comunitá.
I partecipanti alle lezioni, sia i laici che i religiosi, erano entusiasti del metodo da me adottato; della cosa fu informato Padre Alberto (probabilmente lo fece qualche seminarista) il quale, facendomi le congratulazioni, mi invitó a partecipare alla messa serale che lui stava andando a celebrare nella chiesa parrocchiale vicinissima alla “nostra” casa religiosa. Gli feci garbatamente notare che, pur essendo io un cattolico convinto, non avevo la stessa convinzione nel partecipare assiduamente alle funzioni religiose per cui, se non lo riteneva offensivo, preferivo rinviare ad altra circostanza la mia presenza in chiesa. Lui, con altrettanto garbo e fermezza, insistette nell’invito assicurandomi che non me ne sarei pentito. Considerata l’amicizia che ormai esisteva tra me e padre Alberto e considerata anche la sua garbata insistenza, decisi di fare “il sacrificio” e quindi andai insieme a lui in chiesa. Fu durante la celebrazione della messa che capii a cosa si riferiva Padre Alberto, quando disse che “non mi sarei pentito”. Infatti, durante la “Predica”, comunicó ai numerosissimi fedeli presenti in chiesa (le chiese sono sempre strapiene di gente in Brasile) che nella Casa Religiosa era iniziato un corso di italiano, per cui chiunque avesse voluto studiare la lingua e la cultura italiana poteva iscriversi al corso giá dal giorno dopo.
Per dare maggior risalto alla sua comunicazione che stava dando ai fedeli, li informó anche che l’insegnante di italiano era un professore venuto dall’Italia e che in quel momento stava presente in chiesa e cosí dicendo, con un ampio sorriso da “scherzo da prete”, mi indicó con il dito. Tutta la foltissima platea si giró a guardarmi nell’angolino dove mi ero imboscato. Non só se arrossii, ma sicuramente ero un po’ impacciato; ed il “reverendo” intanto, dall’altare se la rideva tutta sotto i baffi. Ritengo tuttavia inutile nascondere la mia soddisfazione per tale “scherzo da prete”. Il giorno seguente si iscrissero circa 70 alunni di tutte le etá e culture; stabilii, insieme a Padre Alberto, che la quota d’iscrizione era di 20 Reais (circa 12 dollari) e la quota mensile di partecipazione al corso era di 25 Reais (circa 15 dollari).
Il Direttore, bontá sua, mi disse che potevo trattenere per me l’intero ricavato del corso e delle iscrizioni.  A lui, dopo aver preso atto della validitá del metodo d’insegnamento e della mia serietá professionale, interessava solo che insegnassi gratuitamente ai seminaristi. Ció stabilimmo verbalmente io e lui e ció feci per circa un anno e mezzo (tale fu il tempo che mi trattenni in quella Comunitá di Belo Horizonte).

Come il lettore puó facilmente dedurre da quanto illustrato, nella vita quando le cose devono andar bene, ci vanno e basta; cosí pure, quando devono andare storte, non c’é verso che tenga. Io, dopo aver vissuto momenti preoccupanti, nel giro di pochi giorni ebbi il vento totalmente a favore. Solo venti giorni prima avevo in tasca appena un dollaro e tre Reais; con la nuova situazione avevo giá nel portafogli piú di tremila Reais (circa mille e seicento dollari). Avevo risolto il mio problema economico. Telefonai a Claudio e con molto piacere, mi sdebitai anticipatamente; anche lui rimase felicemente sorpreso dal mio rapido e positivo cambiamento finanziario.