Capitolo 6º

La mia esistenza ormai scorreva tranquilla. Tramite gli annunci che mettevo sul giornale locale “Balcão”, acquisivo continuamente alunni interessati ad apprendere privatamente la lingua italiana. Ció, oltre a procurarmi vantaggi economici, mi permetteva di conoscere ed all’occasione frequentare, gente nuova. Il mio nome e la mia professionalitá avevano raggiunto una discreta notorietá tra la gente di Belo Horizonte. Sembra che io fossi diventato anche il professore di lingua italiana piú caro, ma la cosa non mi preoccupava assolutamente. Anzi, considerato che in una cittá c’é sempre un professore piú caro degli altri, preferivo che questo primato fosse mio. Gli alunni privati che si affidavano a me erano prevalentemente studenti universitari o laureati che, per vari motivi, erano interessati ad apprendere la lingua italiana. Tra essi la maggioranza era di sesso femminile e l’etá media era di circa 30 anni. Le motivazioni piú ricorrenti che li spingevano a studiare l’italiano erano le opportunitá di lavoro che avrebbero potuto avere presso la Fiat di Betim (Belo Horizonte), oppure presso la Magneti Marelli di Contagem (Belo Horizonte). Alcuni laureati erano interessati a trasferirsi in Italia per fare i ricercatori presso qualche Universitá. Altri lo studiavano perché avevano qualche relazione affettiva con italiani o perché stavano programmando un viaggio turistico in Italia. Tutti indistintamente erano comunque fortemente attratti dalla cultura e dalla storia del nostro paese. Probabilmente, il motivo per cui stavo ottenendo un discreto successo nell’insegnamento, derivava proprio dal fatto che, quando mi rendevo conto che i miei alunni mi capivano quasi perfettamente, alternavo le lezioni di grammatica con lezioni di storia e geografia italiana.
Puó sembrare un paradosso, ma non posso fare a meno di sottolineare l’indiscutibile beneficio che ho tratto dalle lezioni che impartivo ai miei alunni. Tramite essi ho avuto modo di conoscere il vero tessuto sociale brasiliano; attraverso i nostri colloqui didattici ho potuto capire la vera realtá brasiliana. Purtroppo ho dovuto constatare direttamente anche il basso livello culturale prodotto dalle scuole brasiliane (di ogni ordine e grado); mi é stato altresí possibile verificare la mancanza di ideali forti che dovrebbero essere i punti di riferimento di una societá civile e democratica. Preferisco sorvolare sul concetto di morale inteso dalla maggior parte dei brasiliani. Il rapporto diretto con essi, ed il loro modo di concepire lo studio, mi convinsero che in Brasile i titoli di studio non si acquisiscono per meriti scolastici, ma solo se si é in regola con i pagamenti rateali mensili imposti dalla scuola frequentata. Praticamente in Brasile le lauree si ottengono solo se si é in condizione di poter pagare, “in sessanta comode rate mensili”, cifre alla portata di pochi. Tuttavia ho dovuto prendere atto che queste palesi discrepanze erano occasionalmente avvertite anche da alcuni giovani studenti brasiliani; sicuramente i piú intelligenti i quali, confrontandosi con persone di altre culture occidentali, percepivano tutto il vuoto culturale e nozionistico dei loro titoli di studio. Normalmente questi giovani, non sapendo come cambiare la loro situazione socio-culturale, si affidavano a sogni impossibili o improbabili (trasferirsi in Europa o in altre parti del mondo, scegliendo preferibilmente l'Italia), o ad immediati e facili divertimenti (sesso, droga, sbornie, balli, spiagge del nord-est, etc ...etc..).

Ormai erano passati alcuni mesi e per me il tempo scorreva rapido e tranquillo. Avevo lezione quasi tutti i giorni e spesso la sera, intrattenevo piacevoli rapporti con alunne o con amiche conosciute occasionalmente.
Poche volte ho dormito da solo la notte a Belo Horizonte.
Tuttavia alcuni periodi, a causa della quantitá di ore di lezioni che impartivo agli alunni (alcuni giorni iniziavo alle otto di mattina fino alle 8 di sera), non avevo nemmeno il tempo di pranzare. Il ritmo di lavoro e l’impegno che dedicavo ad esso, stavano cominciando a produrre i primi inequivocabili segni di stress. Cominciavo a sentire qualche sintomo di stanchezza. Passarono altri pochi mesi e cominciai a notare che non riuscivo piú a conciliare bene le cose, non riuscivo piú a fare tutto ció che volevo. Dovevo trovare una soluzione che potesse restituirmi un po’ di tempo libero e la serenitá che avevo nei mesi precedenti. Ma come? Dopo varie ipotesi, giunsi alla conclusione che probabilmente era meglio che cambiassi cittá. Ormai Belo Horizonte non mi dava piú stimoli, per me stava diventando una cittá monotona, anche se ne traevo benefici. Inoltre ero attratto dall’idea di conoscere meglio il Brasile, le sue cittá, le sue spiagge, le sue foreste, le sue tradizioni. Passarono altre settimane e mi convinsi che sarebbe stato veramente molto meglio trasferirmi altrove. Tale idea prese maggior consistenza quando appresi che la comunitá religiosa, presso la quale davo lezioni, decise di farmi cambiare gli orari settimanali di lezione che erano ormai consolidati ed ai quali tutti gli alunni si erano adattati, conciliandoli con i loro impegni personali. Inoltre, per una serie di concomitanze politico-finanziarie, la mia modesta pensione che ricevevo dall’Italia aveva subito un discreto aumento che, aggiunto
ad un cambio particolarmente favorevole, mi consentiva di poter vivere in Brasile anche senza lavorare. Con il mio attuale reddito pensionistico, in questa nazione ero considerato un benestante. In pochi giorni mi convinsi e decisi di partire per un’altra cittá. Ma in quale? Dopo aver consultato varie guide turistiche e dopo aver ascoltato il parere di alcuni miei alunni ed amici, decisi di trasferirmi nel Nord-Est del Brasile. Mi sarei trasferito a Fortaleza, capitale dello Stato del Ceará, distante circa 2.500 chilometri da Belo Horizonte. Avevo anche stabilito che il mio trasferimento doveva essere silenzioso; sarei partito senza avvertire nessuno fino all’ultimo giorno. In una settimana vendetti la mia Chevrolet e sistemai le mie faccende personali. Raccolsi tutti i miei libri, il computer, i miei indumenti e tutto ció che era possibile trasportare e lo sistemai in vari scatoloni di cartone. Prenotai, tramite internet, una stanza in una posada di Fortaleza. Scrissi una lettera di saluto a Padre Alberto; comprai un biglietto dell’autobus rodoviario Belo Horizonte-Fortaleza e partii alla volta di quella cittá.
Lasciai Belo Horizonte alle 21,00 del 21 Marzo 2002. La stanchezza accumulata per i preparativi della partenza ed il confortevole pulman, contribuirono notevolmente a farmi sprofondare in un sonno profondo. Quando all’alba mi svegliai, il pulman aveva giá percorso varie centinaia di chilometri. Osservai il paesaggio e rimasi affascinato dalle immense e verdi praterie che stavamo attraversando. Popolatissime mandrie di mucche pascolavano nelle interminabili fazende del Minas Gerais. Altre immense fazende producevano canna da zucchero, altre ancora esibivano curatissime piantagioni di caffé che si estendevano per centinaia e centinaia di ettari. Ormai il sole era ben alto e lungo il cammino, notai i primi gruppi di contadini che si recavano, a piedi o con i cavalli, all’interno delle fazende dove avrebbero trascorso tutto il giorno lavorando duro. Durante l’intero viaggio, da Belo Horizonte a Fortaleza, il tragitto fu un susseguirsi di interminabili fazende e cittá. Putroppo, con il procedere del pulman verso nord, si percepiva anche la inequivocabile povertá diffusa di quegli Stati. Dopo aver lasciato lo Stato del Minas Gerais, attraversai lo Stato di Bahia, di Pernambuco, di Paraíba ed infine il Ceará. Dopo due giorni e tre notti di un interessante viaggio, anche se faticoso, arrivai finalmente a Fortaleza.